RITRATTO DI UN AMORE
di Martin Provost
Presentato lo scorso anno fuori concorso a Cannes, arriva il sontuoso, riuscito, originale ritratto d’artista Ritratto di un amore (Bonnard, Pierre et Marthe), ottavo lungometraggio di Martin Provost. Mezzo secolo del sodalizio tra il post-impressionista Pierre Bonnard e la sua musa, modella e compagna Marthe, di umili e celate origini e di aspirazioni borghesi.
Arricchito dalle magnifiche luci di Guillaume Schiffman, il film non è tanto la biografia del pittore quanto il ritratto, che emerge con discrezione, della musa, compagna e poi moglie Marthe de Matigny, al secolo Maria Boursin, in arte Marthe Solange: il brutto anatroccolo, come la chiama Pierre, resta in disparte, si sente inadeguata ma esercita un fascino irresistibile, una profonda affezione nel compagno.
La loro esistenza scorre serenamente in campagna, nonostante l’asma che affligge la donna, tra i colori vivaci della natura che si riflettono sulle tele del pittore. Non mancano i contrasti di coppia né il conflitto sulla maternità negata, tra una corsa sulle rive della Senna e i tuffi nel fiume, tra una visita di Monet e Signac e i successi del gruppo dei Nabis. Passano gli anni, dall’innamoramento si passa al 1914 - bella e singolare la scena che si conclude con lo scampanio che annuncia lo scoppio della Grande guerra, con Marthe e l’amica-rivale Misia immerse nel fiume a litigare - poi nel 1918 e infine nel 1942. Solo quando lui se ne andrà a Roma con l’ennesima fiamma, irretito dalla bellezza di una giovane modella con cui progetta le nozze, lei si metterà a dipingere - per riempire un vuoto, per bastare a se stessa, per negare l’assenza, soprattutto per esprimere un’interiorità fin lì soffocata. Pentito, al ritorno Pierre apprezza, incoraggia, soprattutto regolarizza l’unione...
Marthe esporrà le proprie creazioni una volta sola nella vita, ma con grande soddisfazione. Perché l’arte, non importa quanto naïve e popolare, è alla portata di tutti, e Provost ne ha fatto un cavallo di battaglia, da Séraphine che gli valse numerosi César (incluso miglior film) a Violette, stavolta una scrittrice. I suoi sono ritratti di donne ai margini che sanno affermare la propria personalità. E tra Marthe e le rivali è lei a vincere, con la sua forza indomita, la perseveranza, un carattere ombroso ma deciso, uno charme incarnato alla perfezione da Cécile de France, che emerge come la vera protagonista dell’opera al fianco del pur bravo Vincent Macaigne, con un’apparizione quasi fantasmatica di Stacy Martin.
Una biografia originale e intrigante come spesso in Provost, con la musica ipnotica e barocca di Michael Galasso e interpreti all'altezza per una storia d’amore e d’arte altamente consigliata.
Mario Mazzetti
I Wonder