LA VOCE DI HIND RAJAB

di Kaouther Ben Hania

Kaouther Ben Hania riprende in parte il metodo utilizzato nel precedente Quattro figlie, sovrapponendo la ricostruzione filmica alle immagini e ai personaggi reali nel descrivere un’agonia, quella della piccola del titolo, costretta in un’auto con i cadaveri degli zii e dei cugini, con il padre che dalla Germania contatta la Mezzaluna rossa in Cisgiordania perché coordini il soccorso e il salvataggio della piccola, che dal cellulare della cugina, terrorizzata, riuscirà a fatica a spiegare l’accaduto e a implorare di essere estratta da una vettura crivellata di colpi, con i carrarmati dell’esercito israeliano impegnati in una delle più violente operazioni di terra avvicendatesi nella martoriata terra palestinese.

L’eco dei social network fece rimbalzare all’epoca (era il 29 gennaio 2024) le registrazioni audio dei lunghi e, ormai è storia, infruttuosi tentativi dei volontari di ottenere l’autorizzazione dell’IDF all’individuazione di un corridoio sicuro e l’impegno a non attaccare l’unica ambulanza rimasta a Gaza, dopo che oltre una decina tra medici e autisti erano finiti sotto le bombe e i proiettili israeliani (e, come sappiamo, la strage dei convogli umanitari e dei soccorritori era ben lungi dal concludersi).

Tra le mura della sede, al telefono con la bambina e con i referenti del ministero della salute, della Croce Rossa che mediava e di chiunque fosse necessario, si sono consumate lunghe ore di attesa, di stress, di strazio emotivo che l’autrice riesce a trasmettere, amplificata, allo spettatore annichilito per la difficoltà di evitare lo scempio ai danni di bambini, donne e civili palestinesi: quella che il film racconta è la storia di una tra gli oltre diecimila bambini le cui vite sono state distrutte dalla furia israeliana nel tentativo di sradicare Hamas e tutto ciò che di vivo prosperava nella Striscia di Gaza; è evidente che il giudizio critico non può in questo caso prescindere da considerazioni socio-politiche e umanitarie.

Volendo sforzarsi di farlo, emerge una narrazione “emotiva”, raffreddata dall’escamotage di ricordare allo spettatore che sta assistendo alla ricostruzione di una storia vera, e dall’utilizzo della vera voce di Hind e, talvolta, del personale coinvolto. Nonostante la brevità del film, l’inevitabile dimensione limitata della personalità dei personaggi (il coordinatore esperto, il centralinista disperato, la responsabile logorata dai turni lunghi, la psicologa che lenisce i traumi dentro e fuori la sede, la madre della bambina in attesa di notizie) evidenzia a tratti una diluizione della materia narrativa, e in tal modo consente al pubblico di sostenere i momenti più duri: già sentire la voce disperata della piccola è un primo pugno allo stomaco, fino allo scioglimento, alle immagini apparse agli occhi del mondo quando, molti giorni dopo, si consumò l’operazione di annientamento della zona; alle dichiarazioni della madre e ai video familiari di una bambina felice, al mare col fratellino. Se volete evitare stravolgimenti emotivi restate alla larga; se invece volete condividere una pagina tristissima, una delle tante di un genocidio lento e attentamente studiato, è il vostro film.

Mario Mazzetti

 

Titolo originale: Sawt Hind Rajab
Sceneggiatura: Kaouther Ben Hania
Fotografia: Juan Sarmiento G.
Montaggio: Qutaiba Barhamji, Kaouther Ben Hania, Maxime Mathis
Musiche: Amine Bouhafa
Interpreti: Saja Kilani, Motaz Malhees, Clara Khoury, Amer Hlejel
Produzione: Mime Films, Tanit Films, JW Films, RaeFilm Studios, Common Pictures
Distribuzione: I Wonder Pictures