Scheda Film Consigliato
Volevo nascondermi
di Giorgio Diritti
Sceneggiatura: Giorgio Diritti, Tania Pedroni …Fotografia: Matteo Cocco …Montaggio: Paolo Cottignola, Giorgio Diritti …Musiche: Marco Biscarini, Daniele Furlati …Interpreti: Elio Germano, Oliver Johann Ewy, Leonardo Carrozzo, Pietro Traldi, Orietta Notari …Produzione: Palomar, Rai Cinema …Distribuzione: 01 …Italia 2020 …colore 120’
Recensione Film
Volevo nascondermi
Di Cristiana Paternò
Emarginato fin da bambino, storpio, affetto da gotta e rachitismo oltre che da misofonia, un disturbo cerebrale che rende certi suoni, come la tosse, insopportabili. Ovunque fuori posto, quintessenza dell’apolide (per gli svizzeri era un trovatello italiano, per gli emiliani el tudesc), Antonio Laccabue detto Toni Ligabue (1899-1965), passato alla storia per la sua arte potente e naif dal tratto inconfondibile, ha spesso affascinato il teatro e lo schermo, come nel celebre sceneggiato tv di Salvatore Nocita con Flavio Bucci, del 1977. Una fascinazione che ha toccato anche Giorgio Diritti, autore bolognese con un’attenzione speciale ai linguaggi delle piccole comunità, a partire dal titolo d’esordio Il vento fa il suo giro, girato nelle valli occitane: anche qui, lo svizzero tedesco e l’emiliano diventano musicalità ed espressione. Volevo nascondermi, Orso d’argento per l’interpretazione alla Berlinale, si nutre proprio dell’humus di un’Emilia dai colori netti. È un film dal forte impatto visivo, uno studio di relazioni sociali e umane, un atto d’amore per quest’uomo tartassato dalla sorte ma anche dotato di un dono incredibile per il disegno e il cromatismo. Al centro di tutto l’interpretazione, più che mai straordinaria, di Elio Germano che si trasforma (anche grazie alla prostetica) nel personaggio e anzi, sarebbe meglio dire, nella persona. Ne rende la fragilità estrema di uomo considerato uno scarto, qualcosa di repellente e inavvicinabile.
Toni lo incontriamo bambino a Zurigo: la madre biologica, una giovane italiana, l’ha abbandonato e una coppia anziana e senza figli l’ha preso in affido, forse anche per godere del sussidio. Perseguitato dagli scherzi atroci dei compagni, incompreso, maltrattato, viene espulso e spedito a Gualtieri, in Emilia. Vive da barbone sulle rive del Po, in una capanna, finché lo scultore Renato Marino Mazzacurati e sua madre non lo accolgono in casa, dandogli la possibilità di esprimere il proprio mondo interiore. Tigri e giaguari nella Pianura Padana, paesaggi familiari e chimere: la sua animalità, il suo nucleo interiore anarchico e selvaggio si accompagnano al desiderio profondo e inesprimibile di normalità, di essere amato e accettato e, fino alla fine, all’aspirazione ad avere una moglie, una casa. Elio Germano dà a Toni una gamma di emozioni primordiali: rabbia, disperazione, gioia fanciullesca, ingenua ostentazione della fama raggiunta negli alti e bassi del suo percorso, tra ricoveri in ospedale psichiatrico e corse in motocicletta - aveva la passione dei motori: una collezione di moto spesso scassate, e appena conquistò un po’ di successo volle la macchina con l’autista. Sullo sfondo l’Italia fascista, che esclude anche geneticamente l’uomo improduttivo, il senza famiglia ma che viene scavalcata da gesti di solidarietà individuali, e una Bassa cinematograficamente impeccabile per atmosfere e geometrie. Diritti, alla quarta regia, cerca di espandere la prova d’attore di Germano creando una narrazione in qualche modo collettiva e quasi documentaristica: un intero territorio è raccontato con amore, quasi con devozione. Il film, che si inserisce a buon diritto nel filone delle più recenti biografie d’autore, dal Van Gogh di Julian Schnabel al Turner di Mike Leigh, è una lettera d’amore a Ligabue e un manifesto artistico che rivendica l’intreccio di vita e creazione, di un’arte popolare ed eccelsa, in un’altalena di gioia esplosiva e sofferenza implosa.